SI VABBE'... PERO' E' DIFFICILE FARE BIODINAMICA
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Assolutamente no, certamente il metodo biodinamico riporta l'agricoltore a meditare e a ragionare sulle azioni quotidiane e nel tempo che svolge nella sua azienda agricola come del resto hanno fatto gli agricoltori per oltre 6000 anni. A decidere cosa e quando fare determinate azioni che derivano dall'osservazione giornaliera di ciò che avviene in campo e spesso ad attivare delle azioni al fine di prevenire o favorire determinati risultati. 

Ciò comporta una maggiore elasticità mentale che di fatto non cè nell'agricoltura chimica dove tutto viene deciso a tavolino e dove oggi sempre di più si ha un minor contatto con la terra e con le piante. In 50 anni di agricoltura chimica è stato distrutto tutto il "sapere" che per millenni gli agricoltori si sono tramandati. Fare agricoltura biodinamica significa anche recuperare questo "sapere" in chiave moderna, nessuna azienda che fa agricoltura biodinamica lavora le terre con i buoi. Oggi, nell'agricoltura chimica si fanno le cose senza sapere cosa si fa, si crede di saperlo ma in realtà non è così.

Non mi stanco mai di ripetere che fare biodinamica è applicare tutte quante un insieme di azioni che ci porteranno a dei magnifici risultati.

Purtroppo costantemente si assistono a delle aberrazioni che solo l'uomo può ideare. Tra i tanti esempi che si possono fare osservate questo impianto.


A vederli da lontano sembrerebbe una piantagione di alberi di natale e invece si scopre avvicinandosi che sono olivi sottoposti ad una particolare potatura e ad un sesto d'impianto molto fitto.

Il risultato: le piante sono costantemente stressate e ciò è testimoniato dalla rogna che abbonda sui tutti i rami e che esplode ad ogni potatura, potature che possono essere fatte solo da personale specializzato che non si trova con facilità.
Dove l'olivo, quando viene rispettato, manifesta tutta la sua signorilità e nobiltà.

Altro pessimo esempio di impianto. L'uomo in questi ultimi 50 anni ha pensato di poter sopraffare la natura ma la natura si è ripresa la rivincita. Osservate a sinistra un frutteto a spalliera e a destra il nuovo impianto che segue criteri biodinamici. 

Palese è il contrasto. A sinistra abbiamo più del doppio del numero di piante e che essendo potate a palmetta soffrono e sono quindi più deboli e più facilmente soggette agli attacchi parassitari. 

In una situazione di questo tipo l'unico che ci guadagna sono i rivenditori di fitofarmaci, chimici e/o biologici che siano e le ditte produttrici, non certo l'agricoltore. Quante volte mi capita di entrare in una azienda e vedermi contestare il fatto che con un impianto a vaso e con un sesto d'impianto più largo, si produce di meno e i costi sono maggiori. 

Poi però quando andiamo a fare i conti di quanto costa avere un'alta produttività con impianti di frutteti "moderni" ecco che improvvisamente e per la prima volta l'agricoltore si rende conto che in effetti i suoi ricavi sono molto minori rispetto a quanto immaginava. Il fatto è che molto spesso non si fanno bene i "conti", cè il culto della produttività. In un impianto biodinamico è vero, abbiamo un numero minore di piante ad ettaro, ma in tal modo circola più aria, si crea una zona di rispetto intorno al colletto della pianta dove il terreno non viene pestato, e la presunta minore produttività viene controbilanciata dai minori costi di esercizio. 

Nel caso specifico alla fine l'agricoltore ha deciso di procedere al nuovo impianto dato che le problematiche sul vecchio erano troppe. In questi casi di pessima gestione, anche se andiamo a dare i preparati biodinamici, scarsi saranno i risultati. Aimè bisogna avere il coraggio di prendere la sega e di... ma comprendo che non è un passo molto facile.



Ceglia Angelina e Hein Knoll
Hein nel 1990 si rese conto di quali schifezze davano alle loro piante e decise di passare seduta stante dall'agricoltura chimica all'agricoltura biodinamica.

Hanno un'azienda di circa 15 ettari di cui 9 ettari a kiwi e 4 ettari a vigneto. Uno dei problemi che fu fatto notare loro dal consulente biodinamico è che nel kiwi la densità di impianto era eccessiva poiché il sesto di impianto era di 3 x 3 metri quindi con una densità di piante ad ettaro di 1111.

Tale densità a causa della rigogliosa vegetazione impediva alla luce del sole di raggiungere il suolo che essendo perennemente in ombra non poteva crescere nessun tipo di erba, era sempre spoglio.

Devo riconoscere che hanno avuto un grande coraggio quando decisero di dimezzare la densità di impianto passando ad un sesto di 6 x 6 metri, e quindi scendendo ad una densità di 833 piante ad ettaro.

Ciò è stato ottenuto segando una pianta si e una no. Quando vado nelle aziende frutticole e faccio notare questi problemi ovviamente la reazione non è delle più felici.


panoramica dell'azienda



siamo a luglio,la pianta è in piena vegetazione, notate come il sole raggiunge il suolo
Ovviamente uno si aspetterebbe una diminuizione della resa produttiva ad ettaro, e tale ovviamente erano i timori di Angela ed Hein.

Ma questo loro amore per la terra, il profondo rispetto della natura, li ha ripagati ampiamente.

Infatti dato che ora la luce del sole penetra anche d'estate tra le piante, sul terreno cresce una ricca vegetazione erbacea. Le radici delle erbe lavorano e riportano la vita nel suolo che a sua volta, con i suoi miliardi di microrganismi, nutre le piante che non manifestano alcuna carenza.

Le rese produttive non solo non sono calate ma sono leggermente aumentate e soprattutto è aumentata la percentuale dei kiwi che rientrano tra i calibri più grandi e più ricercati dal mercato. Non hanno più perdite durante la conservazione nelle celle frigo dovute alla botrite (che sui kiwi biologici e chimici determina perdite fino al 15%) per non parlare della conservabilità del prodotto e delle qualità organolettiche. 

A livello agronomico si limitano ha rippare il terreno una volta l'anno e a trinciare l'erba quando necessario oltre a distribuire i preparati biodinamici di qualità secondo le esigenze della coltura. Non si usa alcun tipo di concime da ben oltre 8 anni, e il contenuto di sostanza organica è salito dallo 0,5% che avevano quando facevano agricoltura chimica, al 6% attuale, un risultato che solo il metodo biodinamico può dare. 

Oggi tutta la produzione finisce sulle tavole dei consumatori olandesi attraverso la rete distributiva di Hodyn, ma ricordano ancora con amarezza quanto sia stato difficile per loro trovare un distributore che nel giudicare la produzione non si limitasse solo a guardare i pezzi di carta ma anche "come si coltiva e la struttura del terreno".

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